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2 dicembre 2015

QUELL'AIUTO ALLA LUCE IN CERCA DELLA REPIGMENTAZIONE


Se qualche volta avete sentito o letto  testimonianze di "colleghi" parlare di Kellina o olio di iperico, o altre sostanze di origine naturale che,  applicate sulla pelle,  abbiano prodotto repigmentazione dopo esposizione al sole o alle lampade,  allora avete sentito parlare di fotosensibilizzanti dall'azione equiparabile a quella degli psoraleni (clicca qui per saperne di più) Gli psoraleni, composti chimici presenti
in natura o di sintesi dotati di azione fotosensibilizzante, assorbono i raggi ultravioletti e inducono alterazioni biologiche nelle cellule formando legami fotochimici con il DNA. Si usano nella terapia della psoriasi, del lichen ruber planus, della micosi fungoide e, appunto, della vitiligine attraverso una particolare terapia detta fotochemioterapica  che ne prevede l'impiego orale 2-3 ore prima dell'esposizione ai raggi UVA (terapia PUVA ovvero  Psoraleni + UVA = PUVA). Fino a pochi anni fa, la PUVA rappresentava il trattamento  fototerapico di  prima scelta per questa patologia. Attualmente, al fine di evitare gli effetti collaterali dovuti all’assunzione orale degli psoraleni, si tende quando è possibile, e ne esistono le indicazioni, a praticare una fototerapia con UVB a banda stretta (TL01).  La PUVAterapia può essere praticata, sia  facendo  esporre il paziente   (dopo assunzione orale dello psoralene) ad una sorgente artificiale di UVA, oppure alla luce solare (PUVASol, chemioelioterapia).  Quest’ultima  modalità  di trattamento, piuttosto in voga alcuni anni orsono, deve  essere sconsigliata perché, non essendo controllabile con precisione la dose di UVA  ricevuta  durante l’esposizione solare,  possono comparire violente reazioni fototossiche. Il numero massimo di sedute da effettuare generalmente varia in base ai risultati che si ottengono: tendenzialmente si cerca  di  restare tra  le 100 e le 150 sedute. I risultati dipendono dall’estensione della patologia, dalla durata della stessa e dalla risposta individuale. Tuttavia  nel  50%  dei casi si ottengono risultati  poco soddisfacenti.  A causa  della scarsa risposta di alcuni distretti cutanei alla PUVA, come ad esempio mani e piedi (le solite zone difficili), l’indicazione al trattamento deve essere valutata accuratamente quando la patologia interessa queste aree, specialmente in termini di rischi – benefici. La miglior risposta terapeutica si ottiene sul volto, mentre il tronco e la parte prossimale degli arti   hanno una risposta  intermedia. Vi   sono due possibilità di somministrazione  dello psoralene   nella      PUVAterapia:1) Assunzione orale (PUVA terapia sistemica): consiste nell’assunzione orale di psoraleni , in genere metossalene (8-MOP) al dosaggio di 0,6-0,8 mg/kg due ore prima dell’esposizione alla radiazione UVA. Una  PUVA terapia che non genera una reazione eritematosa rischia di essere poco efficace. Un ciclo di trattamento può durare anche uno o due anni (tempo necessario per ottenere una ripigmentazione soddisfacente dal punto di vista estetico). Molto importante è calcolare la dose cumulativa di UVA al termine del trattamento in modo tale da non superare la dose totale limite anche nel caso in cui il paziente dovesse effettuare un secondo ciclo di trattamento. Quando viene raggiunta una dose cumulativa di UVA pari a 1.000 J/cm2 conviene fare una valutazione critica dei risultati ottenuti per valutare se sia giustificata una prosecuzione della terapia. In ogni caso non dovrebbe mai essere superato il dosaggio cumulativo massimo di 1.500 J/cm2.Controindicazioni all’impiego della PUVA terapia: si tratta di una terapia non esente da rischi a breve termine (fototossicità) e a lungo termine (photoaging, carcinogenesi). Va evitata in caso di: malattie cutanee fotoindotte o fotoaggravate; grave insufficienza epatica e/o renale; precedenti terapie con radiazioni ionizzanti o con arsenico; pregresse neoplasie cutanee maligne; gravidanza; allattamento; età inferiore a 12 anni; l’appartenenza al fototipo I e la presenza di numerosi nevi, rappresentano una controindicazione relativa.Oggigiorno le indicazioni al trattamento della vitiligine con la PUVA terapia sono piuttosto limitate e questo si deve alla recente introduzione del trattamento fototerapico con UVB a banda stretta, che fornisce risultati migliori in assenza di significativi effetti collaterali. Il tentativo terapeutico con PUVA andrà riservato a quei casi in cui la risposta alla fototerapia UVB a banda stretta è stata insoddisfacente; in questi casi, talvolta, la risposta alla PUVA terapia può essere migliore. Vista la lunghezza del trattamento e il conseguente impegno richiesto, è consigliabile informare con completezza il paziente e verificare che vi sia una adeguata motivazione.1)  Applicazione topica (PUVA topica): consiste nell’applicare localmente un topico contenente psoraleni e nella successiva irradiazione con UVA.Effetti collaterali: sono possibili reazioni fototossiche locali con comparsa di bolle ed esiti pigmentari. Uno studio controllato recente ha mostrato la superiorità della fototerapia con UVB a banda stretta rispetto alla PUVA terapia topica (Westerhof, 1997). Si ritiene  che  un ricorso alla PUVA topica possa essere giustificato in quei casi in cui l’estensione della malattia è molto limitata e non si è ottenuta una repigmentazione soddisfacente con gli UVB  a  banda stretta. 
Esistono delle testimonianze documentali che già gli antichi egizi utilizzavano,  a livello topico per combattere la vitiligine, sostanze  fotosensibilizzanti e più precisamente l'Amni Majus, da non confondere con l'Amni Visnaga pianta, come la prima, appartenente alle Ombrellifere e dalla quale si estrae la Kellina preparata galenicamente dalle farmacie e prescritta da molti dermatologi come complemento al protocollo UVB 311 nb e addirittura al laser ad eccimeri, quando ovviamente non è possibile profittare della benefica azione del sole. Mentre troviamo la Kellina inserita  in studi di revisione sui così detti trattamenti alternativi, l' uso topico dell'olio di iperico, in funzione di similpsoralene, appartiene alla  pratica tradizionale come appunto nel caso della già citata  amni majus. Ad ogni modo, l'attenzione da prestare ove si decida di intraprendere un trattamento fotosensibilizzante deve essere massima e seguita da personale medico, al fine di evitare che la cura si trasformi in un danno più grave della lesione di vitiligine.  Alla prossima. Domenico. 



4 commenti:

  1. Approfondimenti sempre interessanti! Grazie Dome! Un abbraccio!

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  2. Io utilizzo Kellina + UVB, devo dire che con la Kellina si ottiene una parziale ricolorazione ma che non dura a lungo. Inoltre non mi sembra ci siano sostanziali differenze con le zone trattate solo con UVB (senza kellina).

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  3. Infatti mi sono astenuto dall'esprimere giudizi sull'efficacia delle sostanze oggetto dell'articolo che comunque, per dovere di cronaca, vanno fatte conoscere poichè di esse si legge tanto sui social. Anch'io, come il lettore che ci ha scritto, ho ottenuto risultati deludenti dalla kellina applicata topicamente prima del trattamento con il laser ad eccimeri. Si tratta di costosissimi palliativi dai risultati non uniformi e men che meno definitivi. Anche se un mio amico dermatologo mi prende in giro per questo suggerimento io consiglio, a partire dall'inverno, l'assunzione quotidiana di un centrifugato di 3 carote e 3 gambi di sedano, meglio se effettuato utilizzando un estrattore di succhi. Il fondamento scientifico di questa integrazione alimentare al protocollo di cura che si sta seguendo è il seguente: il sedano contiene psoraleni mentre la carota una gamma di carotenoidi biodisponibili benefici non solo alla vitiligine. La costante assunzione quotidiana di questo preparato almeno tre mesi prima dell'inizio delle esposizioni estive vi regalerà un pregevole supporto alla terapia che seguite nella lotta alle vostre macchie bianche. Concludo ringraziando il lettore per il suo intervento sulla kellina perchè, come potete notare, ogni contributo, può dar luogo a nuove riflessioni. Domenico

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  4. L'iperico è molto diverso dalla kellina, non contiene psoraleni. Come non lo è la kellina, per quanto molto simile!

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